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Non siamo noi a perdere tempo, è il Tempo che perde Noi.
Un percorso laboratoriale articolato, che attraverso il gioco teatrale cercherà di indagare il concetto di ri-fondazione.
Utilizzando come chiave di lettura il testo “Edeyen” di Letizia Russo svilupperemo questo tema attraverso il vissuto di per-sonaggi/archetipi in fuga da un “terremoto” per aprire spazi di riflessione sul nostro modo di vivere il pensiero emotivo legato alla temporalità e di conseguenza alla trasformazione e alla caducità.
I fragili rappresentanti di un umanità in fuga finiscono in un de-serto – nel nostro caso intrappolati in un luogo del quotidiano non più familiare – incapaci di trovare una via da percorrere, di riconoscere e riconoscersi nel cambiamento, nella cosiddetta crisi intesa come scelta e occasione di rinascita.
Nella storia subentra un fattore esterno a sovvertire questo stato di inazione e a individuare una nuova via di uscita. Una parabola che sfrutta il meccanismo del sacrificio individuale per la salvezza del gruppo. Ma la domanda per sua natura contraddittoria rimane sempre la stessa: possiamo delegare all’esterno l’elaborazione e la responsabilità del cambiamento?

Analisi del testo
Nello specifico vengono proposti vari approcci analitici per un vero e proprio confronto-scontro fisico, intellettuale ed emotivo con la materia verbale.
Viene richiesta una reale presa di responsabilità personale sul punto di vista che si sceglie di raccontare: una scelta fondante che ogni volta la persona/attore deve fare quando attraversa una storia scritta da altri.
L’analisi agita di alcune scene del testo permette poi di entrare in relazione intenzionale con gli altri attori, con lo scopo di creare insieme un panorama fisico ed emotivo riconducibile direttamente o analogicamente alla situazione testuale.
Si esplorano così le relazioni e le dinamiche vettoriali che sot-tendono al testo, ossia le azioni principali e le spinte che muo-vono i personaggi. Queste direzioni prima analizzate in lettura e poi agite in maniera attiva da improvvisazioni guidate, indivi-duano curve, scopi e compiti di una scena. Obiettivo: strappa-re il personaggio dal flusso letterario e tradurlo in relazione vi-tale, nella realtà, contraddittoria, del “qui e ora” dell’attore. Si tratta di scomporre, destrutturare e ricomporre: ovvero i fon-damenti del processo creativo.

Un “non metodo”
Attraverso un lavoro fisico e sensoriale sulla persona/attore si arriva così ad affrontare la materia scritta in rapporto critico con la scena.
Si inizia dallo stare, dal vuoto: riuscire a vedere e a reagire al già esi-stente. Raggiungere un diverso stato di attenzione e di presenza dell’attore. Osservazione e ascolto dello spazio interno ed esterno al corpo, peso e forze che possono portare a uno sbilanciamento, a un “desiderio” che riversato concretamente nello spazio e in voce arriva a farsi in-tenzione (consapevole o meno).
Necessario è riconoscere l’azione “nascosta” nel testo. Inizialmente questa ci suggerisce semplici domande da sviluppare sulle pulsioni che muovono il personaggio. Attraverso la declinazione di questa azione transitiva, debitamente adattata al tempo presente dell’attore, si può entrare in relazione con “l’ altro da se” sviluppando un dialo-go fatto di continui assestamenti di strategie, e ridefinizioni di obiet-tivi. Compito principale è quello di rispettare ed esaltare la tessitura testuale creando le condizioni per un accadimento scenico, ovvero un “fatto” teatrale. Per fare ciò l’attore deve essere in grado di arti-colare un evento, narrativo o non, con un inizio, uno svolgimento e una fine. Il verbo che trovo più adatto per descrivere questa pratica è “accogliere”. Accogliere la realtà nella scena, nel proprio progetto. Accogliere e partire proprio da un errore o da una difficoltà, rifa-cendosi ad alcune semplici regole “fisiologiche” e non ad astratte ideologie spettacolari.
Il teatro è un evento vitale non ripetibile che deve essere ripercorso ogni sera, per questo ci suggerisce urgenze semplici: partire da quel-lo che c’è, dall’esser-ci e soprattutto dalla relazione con gli altri.

“L’uomo è un abisso, vengono le vertigini a guardarci dentro”
Georg Buchner